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STORIE DI ORDINARIA REGIA, un progetto di Luca Cirillo

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Fotografie di Valerio Pisciarelli

Recensione di Marco Ferrari


Come un novello Olivier Py, anche Luca Cirillo sa parlare ai giovani ma con l’attitudine del fine provocatore. Un “provocatore didattico” potremmo aggiungere dato che, da anni, affianca alle attività di musicista (Emma, Grignani, Mika e tanti altri), di critico/giornalista (anche per il nostro portale!) e di acting coach, quella di insegnante di musica, recitazione e materie letterarie. Per parlare della condizione umana ha messo in scena, presso l’Auditorium Mario Sordi di Ostia, con il suo cast di straordinari adolescenti (dell’Istituto GP2 di Ostia), “Storie di ordinaria regia” e, già dal titolo è palese il citazionismo di Cirillo, da sempre ammiratore di Bukowski, Ferreri e Ben Gazzara. 


Lo spettacolo è un frenetico insieme (ribattezzato “Quadri sonori”, in onore al compositore Helmut Laberer) di omaggi al teatro, cinema, musica, letteratura, un mix crudele e divertente, commovente e intellettuale, paterno e audace. A Cirillo e alle sue fanciulle in fiore (un gruppo quasi esclusivamente di preparate pulzelle ma sia chiaro, più che semplici, graziose, ninfette, sembravano inquietanti creature magiche) non manca il coraggio; Proprio parafrasando Olivier Py, anche Cirillo ”maneggia l’allegorico e il polisemico”, cambiando registro, passando dal dramma al comico, dalla tragedia al burlesco, provocando la lingua e i codici della rappresentazione con modalità mai viste in quello che in origini sarebbe dovuto essere un “saggio scolastico” ma che di “scolastico” in senso tradizionale e banale ha poi avuto ben poco, per fortuna. 


Dicevamo del cast: il primo ad esibirsi è il talentuoso pianista cinese Alex Yang che, il regista ci tiene con orgoglio a sottolineare, “fino a due anni fa non conosceva la differenza tra il Do e il Re” e oggi vola sulle note del pianoforte con la velocità e la sensibilità di un navigato professionista eseguendo Beethoven come Laberer con precisione assoluta. È la volta di Giulia Pietrangeli, uno scricciolo di tredicenne con la voce d’angelo, tecnicamente ineccepibile vista oltretutto la maestria delle cantanti scelte per il suo tributo, da Giuni Russo a Mia Martini passando per Mina. E proprio il team della Signora della Canzone (Saturnino, Daniele Magro e Franco Serafini) invia un emozionante videosaluto per Giulia. 

Altri “in bocca al lupo” ai ragazzi arrivano da Marco Risi, Flavio Insinna, Paolo Ruffini, Chiara Conti e, addirittura, dalla superstar Paz de la Huerta (ammirata nei film di Jim Jarmusch e Gaspar Noé). In ultimo il video di Alessia De Falco, protagonista della serie tv “Corpo libero” che poi, con un colpo di scena, si manifesta tra il pubblico facendo così una bella sorpresa al giovane cast. 

Arriviamo proprio alle “muse recitanti” del buon Cirillo. Colpisce innanzitutto la potenza di Claudia Colasanti. 13 anni, voce e fisicità di una trentenne. Affronta i Masnadieri di Schiller con il giusto dolore e una padronanza del palcoscenico che ricorda la debuttante Monica Guerritore. Cirillo è sul palco nel ruolo dell’eroe morto e la Colasanti gli gira intorno con passo felino nel riuscito mix tra dramma di una giovane vedova e ricordi passionali di una donna per l’ultima volta al cospetto del proprio compagno. Rimasto da solo in scena, il Cirillo-cadavare grida “sipario”. Che sia una, trascurabile, svista dei siparisti o una provocatoria trovata degna del “teatro inopportuno” di Copi e delle sue messe in scena di “morti che parlano e si rialzano” (viste le tante citazioni, sono propenso a questa seconda soluzione), il “quadro” dei Masnadieri è stato maestoso. Ma la Colasanti aveva solo scaldato i motori.


Si arriva al Caligola di Camus e l’asticella si alza ancora. Monologo allo specchio, frenetico, delirante, infantile e feroce al tempo stesso. La messa in scena ricorda il mondo di Beckett e la giovane attrice in scena pare conoscere molto bene il materiale dotto e scottante studiato con il regista. Ma proprio quando il livello sembra essere giunto al punto più alto, arriva l’epifania: Cirillo e la sua musa regalano al pubblico il climax di “Regina”, opera colta e deflagrante di Salvatore Piscicelli, regista tra i più amati dalla critica italiana. Cirillo comincia il “quadro” eseguendo al pianoforte, a quattro mani con Yang, la partitura originale di Laberer mentre il sipario si apre e, per pochi istanti, vediamo la Colasanti in abito bianco, sdraiata, “morta”, esattamente la Katya Berger de “La Lune dans le Caniveau” (i dettagli estetici perfetti sono un altro punto a favore della messa in scena generale).

Il sipario si richiude, Cirillo sparisce nelle quinte e riappare sul palco, a sipario nuovamente aperto, in una sorta di danza che pare di corteggiamento ma che, l’indovinato “spoiler” precedente, fa drammaticamente intendere come si concluderà. L’attesa del femminicidio imminente è ben congegnata e ansiogena. Il testo di Piscicelli si fonde con la “Fedra” di Racine ma nulla ci viene mostrato fino in fondo, esattamente come nel film, tutto si suppone. Le note folli di Laberer/Yang e le belle luci, di un caldo rosso, rimandano a Fassbinder come al teatro tradizionale giapponese. Il delitto è compiuto, la sala rimane al buio. Piscicelli, che di “Regina” è l’autore, ha ringraziato, durante la trasmissione radio “Ciak si ascolta” (di Lorenzo Procacci Leone e Nico Aurora) Cirillo e Colasanti per questo omaggio e il pubblico reagisce allo stesso modo. Standing ovation assoluta.

L’ultima performance della coppia Cirillo-Colasanti è un tributo a Sordi e Vitti di “Io so che tu sai che io so” stavolta dichiaratamente riletti in versione padre-figlia. Un alleggerimento di tematica, sicuramente il punto più “furbetto”, inserito per accontentare tutti e mostrare le doti, anche comiche, della sorprendente Colasanti. Veniamo a Fatima Ayat, 14 anni. Il monologo ispirato all’omicidio di Giulia Cecchettin (dopo un riuscito omaggio a Moravia e Sergio Endrigo a inizio spettacolo), è una performance struggente, anche in questo caso si sente la mano del regista.


Mano che appare, letteralmente, in scena nel finale del “quadro” per disegnare un livido sul viso di Fatima. Ennesima provocazione importante, necessaria. La sedicenne Francesca Romana Dispinzieri (spalleggiata come sempre da Cirillo e da Riccardo Di Marzio, unica presenza maschile del cast di giovanissimi) travolge di ironia la “Signora delle Camelie”, nella fortunata rilettura che ne fece Gigi Proietti passando poi (e molto bene) al drammatico “Voltati, parlami” di Alberto Moravia, portato in scena pochi anni fa da Lucia Lavia. Personalità versatile, già qualche piccolo ruolo (il più recente nel docufilm “To Ostia with Love” accanto a Enrico Vanzina e Claudia Gerini) e una indubbia padronanza scenica, la Dispinzieri coinvolge, diverte ed emoziona il pubblico. Una bella rivelazione anche Angelica Gareri che regala l’intenso monologo di Carlo Verdone in “Manuale d’amore” e, insieme a Giulia De Marzo, celebra la presenza dell’ospite Alessia De Falco con un estratto da “Corpo libero”.

La frizzante Rebecca Nana è l’unico elemento comico tout-court che interviene a “disturbare” il Cirillo-presentatore e anche in questa sfaccettatura, il regista ci fa capire di aver messo su un cast eterogeneo. In definitiva questo progetto/spettacolo ha le caratteristiche per diventare un vero e proprio format di teatro fatto da adolescenti per un pubblico anche, e soprattutto, adulto e, innanzitutto, colto..

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