Con una straordinaria Valeria Golino
Tre storie, incidentalmente ambientate nella periferia romana, perché rappresentative di qualsiasi periferia di ogni altra città, ci scaraventano nella cruda realtà delle situazioni marginali. In situazioni vere, o quantomeno verosimili, che comunque ci sentiamo addosso. La prima, che fa da collante alle altre, è il tenero amore tra due bambini, Romana (Romina Hadzovic) e Giampiero (Noah Scialom), compagni di scuola ma divisi, quasi a loro insaputa, da cultura e classe sociale in quanto lei è una zingara rom.
Al loro amore, andranno ad inanellarsi le squallide vicende di una parte del quartiere che mal sopporta la vicinanza con gli zingari: la paura, l’ignoranza e un sottofondo di razzismo scateneranno gli istinti peggiori contro la comunità dei nomadi.
Tra i genitori di Giampiero, Luciana (Valeria Golino) e Alfredo (Rodolfo Laganà), invece, terza storia, il rapporto del figlio con la piccola zingara sarà solo la causa apparente dello scoppio di una crisi tra loro.
Una rottura dettata invece dalle aspirazioni di Luciana, che tenta di affermarsi come pittrice ed emanciparsi come donna, nei confronti di Alfredo che pare non vedere più in là del suo mestiere di fruttivendolo. Ed è molto bravo Tonino Zangardi a mantenere saldo l’intreccio, non facile, tra situazioni di amore puro, conflitti sociali e diaspore esistenziali, che altri autori affronterebbero solo monotematicamente per la loro oggettiva complessità. Inoltre, Zangardi tiene unito il film senza indulgere ad un minimo di retorica, per giunta con lampi illustrativi davvero alti e poetici. L’unico appunto che sentiamo di esprimergli, proprio perché apprezziamo molto questa sua pellicola, è quello di non aver mai approfondito, se non con brevissime danze e canti, la cultura rom. Di non aver esaltato almeno una caratteristica della loro tradizione plurisecolare.
Nella conferenza stampa del film, infatti, gli attori hanno palesato non poco questo carente feeling con il gruppo dei rom. Tranne Valeria Golino, davvero da applausi nel film, ma molto sensibile anche nel backstage, in quanto riferendosi agli zingari ha notato che: «Loro si vestono anche in modo da essere subito riconoscibili da noi. Perché hanno percepito che c’è un’iconografia nella nostra fascinazione per gli zingari Quindi – ha concluso l’attrice – per me loro si “rappresentano” con noi, almeno questa è stata la mia sensazione». Un’osservazione molto acuta sulla quale si può riflettere a lungo, magari vedendo proprio in questa chiave l’ottimo film di Zangardi.