
NO PAIN TO PLAY
Venerdì 4 aprile è andata in scena, presso lo Spazio Recherche di Roma, la presentazione del progetto “UNO” firmato dalla band romana “No Pain To Play” che ha proposto dal vivo l’album in versione integrale.

Cominciamo col dire che si tratta di un lavoro notevole, curatissimo, come non se ne sentono più al giorno d’oggi, ricco di contaminazioni di vario tipo, dal post punk all’elettronica più rarefatta. Un concept che parla di evoluzione, morte e rinascita senza mai dichiarare le tematiche in maniera didascalica ma nascondendo, come in una caccia al tesoro proposta all’ascoltatore tra le varie tracce, la soluzione di un pensiero che meriterebbe di essere trasferito anche su un libretto, in stile operistico.

Una ulteriore nota di merito va data alla cura estetica della serata: Spazio Recherche è una location affascinante, retrò, affine ai club newyorkesi di inizio 80, quindi tendenzialmente più adatta a performance di teatro d’avanguardia che a un “semplice” concerto; ed è proprio in questo che i “No Pain To Play” calano il jolly vincente. Il gruppo, infatti, si esibisce per tutto il concerto dietro un lungo velo bianco sul quale vengono proiettati i titoli dei vari brani e soprattutto le suggestive proiezioni realizzate dagli stessi componenti.

Il riuscito brano di apertura, “hEarth”, dichiara le intenzioni dello show, in costante bilico tra veglia e sogno, dolore e tenerezza, evanescenza e carnalità. La batteria di Valerio Pisciarelli è un motore pulsante, un gran rischio suonare in acustico in una bomboniera quale è lo Spazio Recherche, eppure ha trainato lo spettacolo con vigore ed energia da stadio senza risultare mai invadente. Ascoltare anche la meravigliosa “Lucciole” e l’epilogo “Consapevolezza” (tutti brani che sarebbero stati bene nella colonna sonora del cult movie tedesco “Der Fan”) per capire la forza e la sensibilità percussiva di questo musicista.

Le chitarre di Fabrizio Petrolati hanno fatto da collante etereo ma incisivo, con sonorità ricercate e di grande gusto. L’assenza di un bassista in lineup non si è fatta sentire anche grazie alla rotondità del suono di Petrolati, moderno Manzarek delle sei corde. Infine, le delicate tastiere minimali (lodi a un simil-mellotron utilizzato in “Emancipazione”) e la sofisticata voce di Antonio Puglisi, talvolta “salmodiata” (CCCP e CSI sono piacevolmente nell’aria…) altre filtrata ma in modo “concettuale” (vade retro autotune con artisti veri come loro), hanno accompagnato il numeroso pubblico verso questo viaggio lisergico.

A tutto questo si aggiunge, in due brani, una sconvolgente performance di teatro avanguardista/artaudiano ideata dall’artista (vecchia conoscenza di “Palcoscenico”) Luca Cirillo e messa in scena insieme alle sue giovanissime allieve (Eleonora Curci e Francesca Romana Dispinzieri). All’inizio del brano “Ludica”, le due performer, in virginale abito bianco (colore predominante di tutto lo spettacolo) appaiono sdraiate oltre il velo per poi “svegliarsi”, danzare e litigare, sinuose e dispettose come uscite da un set di David Hamilton, fino a tornare creature dormienti dinanzi la band nel finale del brano.

La Curci ha l’immagine e il freddo rigore delle performer tedesche con una tecnica rara da trovarsi in una adolescente. La Dispinzieri è un concentrato di stage presence, un vulcanico mix tra la Marina Pierro de “Les Héroïnes du mal”e laNastassja Kinski in fiore di “Così come sei” (se Borowczyk e Lattuada fossero vivi avrebbero trovato una nuova musa), una mannequin arrivata da un’altra epoca in un triste mondo di influencer e veline, a ricordarci quanto potessero combaciare estetica e bravura ai tempi “d’oro”. Ma è in “Oltretempo” che la performance raggiunge l’apice. Su un riuscito e ipnotico loop iniziale, le due attrici introducono con un breve monologo la storia della canzone, toccante concentrato di vita, morte e rinascita. Entra in scena anche Cirillo, silenzioso, in completo nero, a simboleggiare l’unico “minaccioso” elemento teatrale in tanto candore. Lo scenario mi ha ricordato quello della “Salomè” ma ancor di più “L’Incantatore” di Nabokov (sottovalutato e più cupo anticipatore del classico Lolita), con la Curci moglie ingannata e la Dispinzieri figliastra bramata.

Le azioni sceniche si fanno drammatiche e la tensione dei tre performer si proietta, letteralmente, addosso al pubblico tra tirate di capelli, schiaffi, teatrali ma spaventosamente realistici, cadute sugli spettatori, increduli ed entusiasti, e una serie di pestoni che il protagonista (che mostra quindi anche inaspettate doti da perfetto cascatore/incassatore) subisce dalla efebica Dispinzieri, in uno scontro che, a sorpresa, riprende fedelmente la “coreografia” del duello, mistico/fisico, tra Keanu Reeves e Tilda Swinton in “Constantine”. Senza dubbio il momento visivamente più riuscito, sbalorditivo e conturbante di tutto lo show dove tutto è al posto giusto: Curci, anch’essa abilissima “incassatrice” dei colpi sferrati dall’uomo. Dispinizieri attira la vittima nella trappola come la seducente aracnide Marina Pierro (quante analogie tra le due attrici) di “Cérémonie d’amour”.

La band sembra essere soundtrack vivente dell’esibizione, una installazione degna di essere riproposta al MoMA o in un gemellaggio con il Living Theatre. Pochi minuti che mi hanno riportato anche agli eventi off anni 70/80 e in particolare al “Theater in Trance” di Fassbinder che era proprio un omaggio dichiarato ad Artaud. A fine spettacolo, Cirillo confermerà (con mio grande piacere!) essere stato proprio uno dei suoi spettacoli ispiratori al pari del lavoro sui corpi e sull’estetica femminile di Bausch, Borowczyk e Balthus. Si arriva al finale, con ritmi sempre serrati, niente tempi morti, niente chiacchiere tra un brano e l’altro, solo qualche timido “grazie” che il cantante accenna a bassa voce, novello Ralf Hütter dei Kraftwerk, guarda caso storici amici e collaboratori di Fassbinder. Tanti cerchi che si chiudono. In un panorama musicale e teatrale italiano così asfittico e prevedibile, un evento come quello messo in scena al Recherche dai No Pain To Play e Cirillo (il nome della sua compagnia, “Storie di ordinaria regia”, gioca con Bukowski) è un’epifania che porterò a lungo nel cuore e che merita repliche su repliche.
