Al cinema: “La scoperta dell’alba” di Susanna Nicchiarelli
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Trama del film: Nel 1981, a Roma, due brigatisti rossi uccidono a rivoltellate il Prof. Mario Tessandori nel cortile dell’università dove questi insegna. Testimone dell’efferato omicidio è il collega Prof. Lucio Astengo, che poche settimane dopo scompare nel nulla. Le figlie Caterina e Barbara Astengo, rispettivamente di dodici e di sei anni, assieme alla madre, non riescono a comprendere il perché di quell’improvvisa sparizione. Passano gli anni e nel 2011 Caterina e Barbara decidono di mettere in vendita la casa del mare. Ma in quell’appartamento abbandonato da tempo, Caterina scopre che un vecchio telefono, con la linea staccata, riesce invece a comunicare col numero della vecchia casa di città della propria famiglia. E all’altro capo del telefono le risponde lei stessa, la Caterina di dodici anni. C’è quindi la possibilità di allertare quella bambina su quello che accadrà al padre di entrambe, forse arrivando a risolvere l’enigma della sua misteriosa scomparsa.
La visione iniziale di questo film mi ha subito fatto tornare alla mente quando, all’età di 7 anni, il 22 novembre del 1963, un’edizione speciale del telegiornale diede notizia dell’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Quella scioccante notizia, relativa ad un signore che mi era stato molto simpatico, mi scaraventò immediatamente dal mondo delle favole a quello della realtà, in cui i grandi, tolta la maschera, mi apparivano come degli esseri violenti e sanguinari. Da lì in poi compresi che il percorso che mi separava dagli individui con più anni dei miei non si sarebbe risolto in una piacevole passeggiata.
Per cui, tramite questo “filtro mnemonico”, sono entrato subito in sintonia con “La scoperta dell’alba” di Susanna Nicchiarelli, capendone gli intenti, il punto di vista e la tecnica ad “acquarello” utilizzata per pennellare la delicatezza cromatica dei sentimenti, in particolare quando questi si riferiscono agli universi spaziotemporali che tracciano, senza separarle, le vite di due donne e il loro passato da bambine.
clicca per ingrandireIl che fa di questa pellicola, liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Walter Veltroni, un complesso involucro di situazioni simmetriche ma atemporali, che assumono una singolare forma unitaria solo quando le donne e le bambine comunicano tra loro tramite un vecchio telefono a rotella, mediante il quale, forse, sarà possibile scoprire i motivi della misteriosa scomparsa del padre di entrambe.
Sullo sfondo di tutto questo, però, si avverte, incombente, un pesantissimo monito rivolto a dei crudeli e spietati assassini, quei brigatisti rossi che nei famigerati “anni di piombo” insanguinarono l’Italia con omicidi efferati che non tenevano in alcun conto i sentimenti delle famiglie che sarebbero state colpite da quegli orrori. Omicidi rivendicati con un gergo demenziale, logorroico, iperburocratico e sgrammaticato (neanche da quinta elementare), tramite volantini imbevuti di sola violenza, incapaci di umanizzare e gestire il dialogo politico, nonché le passioni e le idee che generano il futuro e il rispetto per chiunque non la pensi al tuo stesso modo. In anni terribili, che chi li ha vissuti con coscienza e raziocinio, vengono ricordati come il vero oblio della ragione che genera mostri.
A parte ciò, nel buon film di Susanna Nicchiarelli, al quale manca solo un po’ di ritmo per elevarsi a ottimo, vi sono delle straordinarie prove d’attore, sopra a tutte quelle di Margherita Buy, di Sergio Rubini e di Lina Sastri, che anche da sole meritano di essere sottolineate per la capacità di questi eccezionali interpreti di delineare i rispettivi personaggi con assoluta nettezza, senza mai incorrere nella gigioneria o nella recitazione sopra le righe. Qualità che solo i grandissimi attori possiedono.