Biblioteca Umoristica Mondadori Prima edizione aprile 2004 Prezzo: €14,00
Prefazione di Gianluca Neri
Selvaggia Lucarelli è una di quelle!
Vi ho visti lì dietro – cosa credete? – travisare e trarre conclusioni affrettate, degenerati monomaniaci che non siete altro.
Noto anche che qualcuno di voi si è offeso. Vorrei in qualche modo tranquillizzarvi: sono cose che succedono quando, avendo la necessità di rivolgersi a tutti, si generalizza.
Dovrebbe rassicurarvi definitivamente, inoltre, il fatto che un libro come questo, stampato da un editore serio, non può assolutamente permettersi di insultare il lettore.
Chiarito ciò, è pacifico che invece mi stia riferendo in modo chiaro e più che palese a te, proprio a te che sei arrivato a leggere fin qui e hai acquistato il libro perché c’era una gnocca in copertina. Tra non molto ti lamenterai per la mancanza di figure, perché non trovi il poster centrale ripiegabile e perché centonovanta pagine sono troppe per uno che al massimo è arrivato alla dodicesima dell’ultimo calendario di Max.
Per inciso, potreste anche ritrovarvi tra quei lettori che se la prenderanno a male perché nel libro c’è poca suspence, poco sangue e, alla fine, non muore nessuno. A voi, che già alla fine del terzo capitolo andrete sostenendo in giro che l’intrigo è poco chiaro e manca il movente, va solo ricordato che questa si chiama Selvaggia: Carlo era nello scaffale a fianco, idioti.
Se mi lasciate continuare, spiego: Selvaggia Lucarelli è una di quelle meraviglie della natura che all’uomo medio risultano incomprensibili quanto i Menhir dell’Isola di Pasqua, i cerchi nel grano, la pronuncia di Maurizio Costanzo e Silvio Muccino, una donna provvista di cervello tolto dal cellophane e usato. O, peggio ancora, una che lo utilizza per scrivere e, quando scrive – come nel caso in questione – sa essere ironica.
Non per niente si racconta che, al cospetto della Lucarelli, un calciatore abbia invano tentato di stabilire un contatto utilizzando la sequenza di cinque note di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Quando poi gli è stato chiesto di elencare le cinque cose che più l’avevano colpito di Selvaggia, è riuscito a citare solo la quinta. Specificando: abbondante.
La Lucarelli, invece, dispone di più risorse di quante ne abbiano Eta Beta nelle mutande o Rocco Siffredi in qualità di improvvisatore. E viceversa, ovviamente.
A 29 anni è già attrice, autrice teatrale, modella, scrittrice, opinionista, giornalista, bersaglio di Novella 2000.
La sua ascesa inizia, inevitabilmente, con una foto che la ritrae nuda. Anticipando di qualche ora Alessia Merz, si fa immortalare dall’obiettivo all’età di due giorni, mentre posa indossando il solo braccialetto della nursery. Gianni Boncompagni la nota e la convoca per un provino, ma alla fine le preferisce una pimpante e smaliziata ecografia.
Ventisette compleanni dopo, un amico le regala un sito internet (in gergo si chiama “blog”: da oggi in poi, quando sentirete pronunciare questa parola, potrete atteggiarvi facendo finta di aver capito) che lei utilizza per raccontare le sfighe di un’attrice alle prime armi e alle prese con l’inquietante ambiente dello spettacolo. Cose tipo: non aver avuto l’occasione di conoscere Fellini. E non essere stata altrettanto fortunata quando si è trattato di Tinto Brass.
Un giorno, il colpo di genio: al grido “Non diventerò una cazzara!”, pubblica una lista di cose che promette di non fare se e quando diventerà famosa. Nell’elenco figurano, tra le altre, le voci: non pronunciare mai la frase “non voglio un uomo bello, l’importante è che mi faccia ridere”; non fidanzarsi con un calciatore; non flirtare con Flavio Briatore; non procurarsi il colpo della strega saltando l’asta da Costanzo.
E’ un vero e proprio “Contratto con gli Italiani” che i lettori di Selvaggia accolgono con molto più rigore di quanto ne abbiano riservato a quello firmato da Silvio Berlusconi nel salotto di Vespa, facendole pesare ogni minimo sgarro. Lo stesso Berlusconi, alla fine, dimostrerà in modo inequivocabile di aver preso con maggiore serietà il contratto sottoscritto dalla Lucarelli che il proprio.
La storia finisce con Selvaggia che ha successo per davvero. Gli articoli che appaiono sul suo sito fanno tre volte il giro di internet, manco fossero catene di Sant’Antonio, diffusi via e-mail dai sempre più numerosi fans. A volte il giro è talmente lungo che il nome dell’autrice si perde per strada. Succede, quindi, che la Lucarelli stessa se li veda rispedire da premurosi ammiratori preoccupati di segnalarle una possibile concorrente e che, ormai preda del delirio di onnipotenza, lei commenti malevola: “Gajarda, ‘sta stronza!”.
Poi sono arrivate le rubriche fisse sui mensili e sui quotidiani; poi la televisione; poi il raduno dei presunti fidanzati che si tiene ogni anno allo Stadio Olimpico, con agibilità del campo; infine questo libro.
Selvaggia sostiene di non avere idea di come tutto ciò possa essere successo. Le frange armate dell’estremismo maschilista spiegano la sua ascesa sostenendo che, alla pari delle cause della glaciazione e dell’ermafroditismo delle rane, una donna capace di autoironia sia un fenomeno degno dell’attenzione di Piero Angela, se non come conduttore del “Mondo di Quark”, almeno in quanto presidente del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale.
Una come Selvaggia Lucarelli, invece, è rara. Tutto qui. Rara non perché divertente. Rara non in quanto donna. E, sicuramente, non per essere contemporaneamente entrambe le cose. A non essere comuni sono, semmai, la sua creatività, l’estro, il genio, la capacità di costruire in modo impeccabile una battuta. Caratteri, questi, che incidono maggiormente rispetto a facoltà magari inconsuete ma indubbiamente più ordinarie quanto il saper ridere degli altri e, soprattutto, di sé.
Non ci serve Selvaggia, insomma, per avere la conferma che al mondo non scarseggino donne autoironiche, con tutte quelle che alla fine ci scelgono.
Gianluca Neri