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GIORNI MANOMESSI di Roberto Ceccarini

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Quando la poesia sposa la metafisica

Credo che Giorgio De Chirico avrebbe apprezzato molto le poesie di Roberto Ceccarini. Dico questo perché le liriche raccolte nel volume intitolato GIORNI MANOMESSI, pubblicato dalla casa editrice L’arcolaio di Gian Franco Fabbri, secondo me hanno delle fortissime attinenze con l’impianto metafisico dell’artista di Volos. Infatti, tanto per cominciare, inizialmente entrambi gli autori rivolgono il loro sguardo verso il passato per confrontarsi col presente: De Chirico lo fece indirizzandosi verso i ruderi della classicità greca e romana, mentre Ceccarini, nel primo capitolo del libro, intitolato La guerra sparita, lo fa esaminando le macerie del secondo conflitto mondiale, i Giorni manomessi, quelli del titolo del libro, dove “i vivi cercano i morti”. Un impressionante abbrivio comune che poi si concretizza in analogie ancora più stringenti, in quanto il poeta di Latina sembra aderire perfettamente a certe raffigurazioni di Piazze e Torri rappresentate a suo tempo dal Maestro della metafisica. Vi sembra assurdo? Ne volete un esempio? Allora, eccovene addirittura due, tratti da una stessa poesia del Nostro:

Presto cercammo un via di fuga / e ci ritrovammo proiettati / all’interno di una città / che non sembrava più la nostra…, (…), …colle torce illuminammo / una torre che sembrava respirare….

Due brani estremamente emblematici, mi pare, che anche un profano non farebbe fatica ad associare a due notissime opere dechirichiane come Nostalgia dell’infinito o La torre rossa. Ergo, dal mio punto di vista, Ceccarini va letto e tradotto come fosse un dipinto di De Chirico. Perché in entrambi i casi il significato originario di luoghi e persone va valutato solo come “apparenza realistica”, dato che dopo attento esame una torre o un tal personaggio può non essere più tale. Come in un sogno, che dietro alle sembianze del vero può celare innumerevoli interpretazioni simboliche. Un articolato e complesso scandaglio che certo può comportare qualche iniziale difficoltà da parte dei lettori meno avvezzi alla metafisica. Per cui, il metodo che mi sento di suggerire è quello di leggere le poesie di Ceccarini almeno due volte di seguito. Una prima volta esaminando solo l’aspetto realistico e successivamente decriptandone l’eventuale significato nascosto. Il mix delle due letture unirà le diverse ottiche in una sola oggettivazione, proprio come succede osservando e interpretando un’opera di De Chirico. L’importante, comunque, è che il lettore si disponga a recepire l’input poetico di Ceccarini con piacevole arrendevolezza, con duttilità di pensiero, evitando di omologarlo alla poesia convenzionale. Se questo avverrà, l’autore ripagherà questa attenzione con dei versi di illuminata vena stilistica, accompagnata da una serie di immagini-mondo, a volte crudeli e a volte soavi, in cui ogni lettore non faticherà a riconoscersi e a collocarsi, provando su di sè, sulla propria pelle, il senso di una commovente fanciullezza di fondo che il poeta permea su se stesso e tutti noi, eterni bambini dall’incerto futuro, costretti a voltarci indietro per ricordarci ogni volta la strada degli argomenti perduti e dei pensieri ritrovati.

Il volume di poesie GIORNI MANOMESSI di Roberto Ceccarini, con la prefazione di Giacomo Cerrai e le fotografie di Anna Di Prospero, pubblicato dalla casa editrice L’arcolaio di Gian Franco Fabbri.

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