Finalmente un film diverso dal solito! Ma per palati esigenti e raffinati, avvezzi a un cinema di cui permanga un solido retrogusto, come dopo la degustazione di un buon vino rosso d’annata. Parlo de “Il Labirinto del Fauno”, del messicano Guillermo Del Toro (lo stesso di “Blade II” e “Hellboy”), che in questo film, di genere fantasy (ma non troppo), ha avuto l’intelligenza di miscelare il mondo immaginifico di una bambina a quello violento, fin troppo materiale, dei fascisti spagnoli rappresentati sul finire della Guerra Civile. In un periodo storico situato a cavallo tra il prima e il dopo dello sbarco in Normandia, che dal 6 giugno 1944 contribuì a debellare la sanguinosa tirannide nazifascista in Europa.
La motivazione di questa scelta temporale ci viene fornita dallo stesso regista Guillermo Del Toro. Il quale sostiene di adorare i film che fanno pensare, sottolineando che per lui: « …il fascismo rappresenta l’orrore con la O maiuscola e proprio per questo diventa l’argomento ideale attraverso il quale raccontare una favola per adulti; poiché il fascismo è innanzitutto una forma di perversione dell’innocenza, e quindi dell’infanzia ». Una summa chiarissima del Nostro, che potrebbe far concludere qui, in modo esemplare, questa mia recensione. Se non fosse che l’autore, sicuramente per modestia, non la racconta tutta sui meriti della sua opera. Poiché siamo di fronte a una pellicola dai moltissimi pregi.
Pregi che, a mio avviso, partono da una possibilità di lettura pluristratificata del film. In altre parole, perfettamente traducibile anche da chi non conosca un’H delle “pitture nere” del Goya, spesso evocate in diverse scene e inquadrature. Sarà dunque la cupa atmosfera gotica, di cui è permeata la pellicola, a guidare lo spettatore erudito o meno in una traduzione comune, moderna, cioè non elitaria, di quanto di perverso si stia abbattendo sulla giovanissima Ofélia (la bravissima Ivana Baquero) e su sua madre Carmen (Ariadna Gil), assolutamente succube del capitano fascista Vidal (Sergi Lopez).
Altro pregio del film, è quello di pennellare il fascismo in maniera indiretta, simbolica. Il che dà modo all’undicenne Ivana Baquero di interpretare la sua Ofélia come se si trattasse di una sorta di “Anna Frank” (alla quale l’attrice-bambina somiglia più di un po’), ma non alle prese con un diario sugli orrori totalitaristici, bensì affidandosi a un amico immaginario, il Fauno, capace di guidarla in una realtà altra, salvifica dal punto di vista psicologico, dove la bambina, superando delle prove, maturerà scelte di vita e comportamenti che avranno un logico esito nel tenerissimo finale del film.
Infine, da non sottovalutare, nel film giganteggia un potente archetipo estetico rappresentato dalle fattezze del Fauno, nonché un surreale e terrificante Uomo Pallido, capace di orientarsi e vedere solo tramite delle stigmate occhiute situate nel palmo delle mani. Due fenomenali realizzazioni artistiche, prodotte quasi senza l’utilizzo della computer-grafica, nate l’una grazie all’ispirazione tratta del materiale illustrativo, d’annata, firmato Arthur Rackham e l’altra per merito di David Marti, scultore e supervisore agli effetti speciali. Col risultato, a mio parere, che del Fauno Pan ( dio dell’ermetismo e dell’occulto nella mitologia greca) e dell’Uomo Pallido (simile a Kronos, che divorò i suoi figli per paura che tramassero contro di lui), entrambi interpretati e “vestiti”, tramite costumi di lattice, dall’attore-mimo Doug Jones, si parlerà e molto nelle future, migliori pagine della Storia del Cinema. Per un film candidato, adesso, come Miglior film straniero all’Oscar 2007, al quale indirizzo tutta la mia empatia affinché possa raggiungere quel più che meritato riconoscimento internazionale.